A Rishikesh il sacro e il quotidiano si incontrano

La mucca è la prima a fissarmi, il muso scuro e gli occhi profondi, quasi a voler decifrare i miei pensieri. Non si muove, è una statua di carne e spirito in un mattino qualsiasi a Rishikesh, un punto fermo in un fiume di esistenze che scorrono. Le sue corna, piccole e affilate, non sono un’arma ma un ornamento sacro, un richiamo visivo alla sua essenza.

Dietro di lei, il mondo si srotola, e a Rishikesh, il mondo ha mille facce. È una città che non dorme mai davvero, anche se al mattino i suoi risvegli sono più sussurrati. Qui il Gange scorre eterno, e sulle sue sponde la vita pulsa con una spiritualità diffusa ma mai invadente, un brusio costante di preghiere, incensi e venditori ambulanti. L’aria è densa di profumi speziati, del fumo dei ghat e della promessa di un nuovo giorno che, come un mantra, si ripete.

La street photography, l’arte di rubare attimi autentici

In questo palcoscenico a cielo aperto, il bello della street photography è proprio questo: non sei tu a cercare le scene, ma sono le scene a venirti incontro. È un gioco di attese e di colpi di fortuna, un istante rubato al flusso ininterrotto della vita. Ed è proprio in questa spontaneità che risiede la sua vera magia.

Ricordo di aver letto, tempo fa, della celebre foto del “Bacio dell’Hôtel de Ville” di Doisneau: scoprii che quella scena iconica non era affatto spontanea, ma messa in posa. Ci rimasi male.., lo ammetto. Ho interpretato la street photography come quella che non ha bisogno di attori o di scenografie. È l’occhio che cattura, il cuore che riconosce, la mano che scatta, quando la vita si mostra per quello che è, senza filtri o preparazioni. E così, mentre cercavo il luogo dove i Beatles avevano trovato la loro ispirazione, è stata questa scena a trovarmi, autentica e non replicabile.

I protagonisti di un’istantanea indiana

Subito dopo la mucca, in primo piano, il mondo continua. L’arancione acceso del sadhu è il primo a colpirmi, un colore che non si può ignorare, come un fiore esotico sbocciato in mezzo al cemento. Ha una barba bianca che sembra catturare la luce e lo sguardo perso in chissà quali pensieri, mentre cammina con il suo sacco sulle spalle, forse un pellegrino senza meta se non il cammino stesso. La sua presenza è leggera eppure densa, come la polvere che si alza dai suoi passi.

Subito dopo di lui, due figure della vita di tutti i giorni. Uno con la camicia arancione brillante, ha il telefono in mano, una sottile fessura nel tempo che unisce il sacro e il profano, l’antico e il moderno. Non sembra turbato dalla presenza del sadhu o della mucca; è parte del paesaggio, un elemento di un mosaico complesso. L’altro, con la camicia azzurra, cammina a testa bassa, quasi con reverenza, perso nei suoi affari, nel ritmo quotidiano di un giorno che è appena cominciato.

E poi, in lontananza, quasi un’eco, c’è un uomo con la camicia bianca. Sembra quasi staccato dagli altri, un osservatore silenzioso, forse in attesa, forse solo di passaggio.

Ognuno ha il suo peso, la sua dignità, il suo ruolo in questa scena inaspettata che sono riuscito a catturare. È un equilibrio silenzioso tra chi cerca un senso e chi vive semplicemente, un frammento autentico di Rishikesh, in India, che si è offerto al mio obiettivo.

Se ti è piaciuto questo racconto e vuoi seguire i miei prossimi viaggi e le mie fotografie, seguimi sulla mia pagina Facebook Life’s a Journey

@genrico@

Vagabondo per natura, cittadino del mondo,appassionato di viaggi,reportage,fotografia, cultura asiatica e tibetana. Pagina ufficiale pubblica su facebook: https://www.facebook.com/lavitaeunviaggio

I commenti sono chiusi.