I vicoli di Varanasi sono un labirinto di storia, canti e silenzi. Come fotografo di viaggio in India, la mia macchina fotografica, prolungamento dei miei occhi, cerca frammenti di vita, non solo semplici immagini. Cerco le storie che si nascondono dietro gli sguardi, nei gesti, nelle pieghe del tempo.
Fa caldo, ma continuo la mia ricerca per un reportage fotografico autentico. Poi la vedo. Una donna, avvolta nel suo sari di seta verde e oro. Ma non è il colore a colpirmi, è il suo incedere. Avanza lentamente, sfiorando con la mano il muro scrostato, testimone di mille passaggi e storie. Un gesto semplice.
È come se cercasse un appiglio, una conferma. Un contatto con la terra, con la concretezza del mondo, proprio come il Buddha quando, in una delle sue mudra, tocca la terra per invocare la sua testimonianza. Non è un gesto di debolezza, mi dico, ma di profonda connessione. È un dialogo segreto tra lei e la città, tra il suo passo incerto e le pietre secolari di Varanasi.
Il sari fluttua, un’onda di colore in questi vicoli. La sua schiena è dritta, l’acconciatura raccolta con cura. È una figura di dignità, una grazia in un fiume di caos.
Scatto. Non per rubare un’immagine, ma per fermare un istante di verità, l’essenza della street photography. Quell’attimo in cui la mano della donna, il suo sari e il vecchio muro di Varanasi diventano un’unica, silenziosa preghiera. E penso al Buddha, al suo “gesto di toccare la terra”, il momento in cui chiamò la terra a testimoniare la sua illuminazione, respingendo le tentazioni di Mara.
Questo scatto non è solo una foto, ma una testimonianza. Un’istantanea che racconta la forza silenziosa e l’eleganza di chi vive la quotidianità di un luogo sacro come Varanasi. Attraverso la fotografia, cerco di dare voce a queste piccole, grandi storie che il mondo offre a chi sa guardare oltre la superficie
